IL MESTIERE PIU’ DIFFICILE DEL MONDO
Di Gianni Mancini 14/06/2019
Heavy rain è uscito nel 2010 su Playstation 3 e all’epoca era decisamente una scommessa da parte di David Cage e il suo studio francese Quantic Dream lanciare sul mercato un titolo del genere. Trasporre una sceneggiatura cinematografica in un videogioco con un gameplay a dir poco minimale era un azzardo considerando che i titoli più giocati in quell’anno erano Mass Effect 2, Metro 2033 e Call of Duty Black Ops dove la componente principale era l’azione. A distanza di quasi dieci anni e il prossimo sbarco su PC possiamo tranquillamente dire che quella scommessa è stata vinta (almeno per chi nei videogiochi cerca una componente artistica, narrativa e psicologica oltre al momento ludico puro).
Come lo ha definito David Cage stesso, Heavy Rain è un viaggio emozionale. Per lui i videogiochi possono parlare anche dei problemi collegati al mondo reale e in Heavy Rain di problemi ne troverete molti. I personaggi del gioco si muovono in una Philadelphia post-industriale, abitano nei quartieri poveri della città, c’è molta desolazione, decadenza, incomunicabilità. Vivono in squallidi appartamenti, mangiano cibo riscaldato al microonde, abusano di medicinali. E’ lo stereotipo tipico e forse un pò abusato della periferia americana, dove le famiglie sono disgregate, i figli relegati e inebetiti davanti alle televisioni. Dall’altro versante, ma per poco tempo, si intravede la parte ricca della città, la borghesia capitalista non esente però dalle problematiche psicologiche dei personaggi meno abbienti. Sullo sfondo ci sono ciminiere in mattoni, depositi di auto da demolire, ex centrali elettriche in disuso e tanta ma tanta pioggia. La pioggia è il continuum narrativo che segue la storia dall’inizio alla fine. E’ un elemento disturbante, di sottofondo che non lascia mai pensare in maniera lucida i personaggi che sono quasi storditi dal rumore incessante. Hanno quasi tutti problemi di salute, vivono o meglio sopravvivono alla quotidianità tirando avanti per non sprofondare e venire risucchiati nel vortice della vita. E’ forse proprio per questo che fanno uso di droghe, medicinali e alcool. In letteratura nessuno ha mai raccontato così bene le relazioni umane e le scelte morali in una periferia americana quanto Kent Haruf nella Trilogia della Pianura (Benedizione, Crepuscolo e Il Canto della Pianura editi da NNE). Alcuni personaggi di Heavy Rain si possono tranquillamente accostare a quelli dello scrittore americano, in particolare i due fratellini con il padre alcolizzato.
Scendendo nei particolari senza svelare troppo della trama, dovremo impersonare quattro diversi personaggi che si alterneranno e incroceranno durante lo sviluppo della storia. Ethan Mars è un giovane architetto padre di due figli. Ha una bellissima casa e una splendida moglie fino a che un grave incidente cambierà del tutto la sua vita. Scott Shelby è un investigatore privato che sembra fermo agli anni ‘50. Guida un’automobile d’epoca, scrive a macchina, indossa trench e cappello, ha l’asma e beve whiskey insomma l’archetipo perfetto del detective hard boiled. Norman Jayden è un agente dell’FBI che ha un problema di dipendenza da una droga chiamata Triptocaine. Ha in dotazione un dispositivo sperimentale chiamato ARI che consiste in un paio di occhiali per la realtà aumentata e un guanto che analizza in tempo reale le tracce ematiche e ambientali. Madison Paige è una giornalista e fotografa che vive in centro ma ha problemi di insonnia e incubi e il suo unico modo per riuscire a rilassarsi è andare a dormire nei motel. In un modo o nell’altro tutti e quattro hanno a che fare con il killer dell’origami, un enigmatico psicopatico che ha già ucciso otto bambini tra i nove e tredici anni affogandoli nell’acqua piovana e che vengono ritrovati nelle periferie con in mano un origami e un’orchidea sul petto.
Il gioco si svolge in quattro giorni e si sviluppa come un conto alla rovescia scandito dai millimetri di pioggia caduti e che affogheranno inesorabilmente la prossima vittima se uno dei quattro protagonisti non riuscirà a salvarlo. Giocheremo un singolo personaggio alla volta in delle sequenze ben definite prendendo delle decisioni morali che influenzeranno lo svolgersi della storia. Attraverso i tasti del controller potremo spostarci nell’ambiente, rispondere o fare domande, interagire con gli oggetti. A volte bisognerà premere i tasti entro un determinato tempo (quick time events) pena il fallimento o addirittura la morte del personaggio. Questi eventi naturalmente influenzeranno il prosieguo della storia andando a plasmare diversi finali a seconda delle scelte fatte. A rendere l’esperienza di gioco il più realistica possibile facendo immedesimare il giocatore nei panni del suo avatar i programmatori hanno deciso di poter far compiere ai quattro protagonisti delle attività del tutto ininfluenti ai fini della storia, ma che li rendono drammaticamente umani: possono urinare, lavarsi le mani, bere acqua o caffè e specchiarsi. Tramite un tasto potremo addirittura “leggere” i pensieri del protagonista di turno ed ascoltare la sua voce interiore andando ad approfondire in maniera psicologica i vari aspetti della narrazione. Il fatto di poter sondare il pensiero del nostro avatar riesce a creare un legame davvero forte con il fruitore della storia che si immedesima talmente tanto a livello empatico da riuscire veramente a provare le stesse emozioni.
Il comparto grafico è sicuramente uno dei punti di forza del gioco. I volti dei protagonisti sono davvero realistici e riescono a trasmettere un’infinità di emozioni attraverso i loro movimenti e sguardi. Anche gli ambienti sono ricostruiti in maniera realistica e dettagliata con una miriade di particolari da osservare. Per la colonna sonora è stata utilizzata un’intera orchestra e le magnifiche composizioni di Normand Corbeil registrate negli studi di Abbey Road non fanno che sottolineare ed impreziosire le scene. A livello cinematografico Heavy Rain resta un capolavoro assoluto. Vengono utilizzate in maniera sapiente ed eccellente tutte le tecniche a disposizione: profondità di campo, split screen, piani sequenza, dissolvenze, campo-controcampo. Non c’è quasi stacco tra la parte giocata e la sequenza cinematografica a garantire un continuum visivo. Da un punto di vista dello storytelling Heavy Rain vanta una sceneggiatura egregia pur se con alcuni buchi narrativi importanti. Gli archetipi junghiani approfonditi da Carol S. Pearson nel suo Risvegliare l’Eroe dentro di noi sono presenti quasi tutti: l’Eroe, il Ribelle, il Saggio, l’Orfano, il Mago Nero, il Guerriero. La componente psicologica di tutti i personaggi sia principali che secondari è riconducibile a uno o più dei vari archetipi. L’esempio più riuscito è proprio quello di Ethan Mars che incarna perfettamente l’archetipo dell’Eroe il cui motto è «dove c’è la volontà, c’è una via». L’Eroe è la parte coraggiosa della nostra personalità, quella che ama dimostrare il suo valore e combattere per difendere ciò che le è caro. Ethan si troverà infatti ad affrontare la prova più difficile per un padre: vedere cosa è disposto a fare per salvare qualcuno che ama. La tematica della genitorialità è il fulcro intorno a cui ruota Heavy Rain. La difficoltà di crescere i bambini in una società consumistica come quella americana fatta di nonluoghi quali centri commerciali e stazioni ferroviarie. Non a caso due delle scene cruciali del gioco si svolgeranno proprio in questi spazi non identitari, di passaggio, popolati da individualismi solitari che si muovono come zombie. E’ un atto d’accusa anche allo stile genitoriale non-coinvolto tipico della generazione X in cui i genitori sono spesso emotivamente o fisicamente assenti.
Heavy rain è un thriller psicologico dai temi adulti che si farà ricordare nel tempo come ancora oggi ricordiamo Hannibal Lecter nel Silenzio degli Innocenti.
Adatto a: chi ama il cinema e i thriller psicologici | Non adatto a: chi non ha voglia di guardare un film che dura 20 ore |
VOTO: 8,3
Giocato e finito su Playstation 4 per 20 ore – disponibile per Playstation 3 e 4 – in preordine su Microsoft Windows
Un grandissimo gioco (ed una analisi altrettanto puntuale e . Ho giocato la versione remastered per ps4 (non avendo avuto la ps3) e ne sono rimasto affascinato. Un comparto tecnico che si difende bene ancora oggi ma, sopratutto, una caratterizzazione magistrale dei personaggi. Ethan Mars è, per me, uno dei personaggi più belli (e tristi allo stesso tempo) nel campo videoludico e già ripensare alle prime scene di Heavy Rain mi mette ancora oggi i brividi. Forse ancora Cage non è riuscito a riproporsi sullo stesso livello (ho giocato Beyond e ho iniziato Detroit), motivo in più per considerare quest’opera una vera e propria perla videoludica.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie amulius, è il primo commento che ricevo nel mio nuovo blog (ancora in corso di aggiustamenti…). Sono emozionato come al primo giorno di scuola quando ricevi un complimento da un insegnante. Il mondo dei videogiochi è stato sempre presente nella mia vita sin da piccolo, ma poi naturalmente per motivi di lavoro e familiari (moglie e due figli), l’ho dovuto mettere un po’ da parte. Ora che per problemi di salute ho deciso di prendere una pausa lavorativa sto recuperando il tempo perduto e chi sa cosa ne verrà fuori… Lascerò un commento al tuo bellissimo articolo con il quale ti ho conosciuto. A presto
"Mi piace"Piace a 1 persona
L’arte videoludica esiste ed il videogioco in quanto tale non deve essere considerato solo e soltanto un qualcosa da bambini. Blog come il tuo che approfondiscono a 360 gradi i videogiochi con diversi riferimenti culturali non possono che rendermi sinceramente entusiasta. Sono felice di aver scoperto il tuo blog. Alla prossima!
"Mi piace""Mi piace"