
Se lo chiedeva Raf nel 1989 non sapendo e non potendo prevedere che a distanza di trentuno anni sarebbe rimasto molto, anzi moltissimo, forse troppo. Dubito che qualcuno ancora non se ne sia accorto, ma gli anni 80 sono tornati di gran moda da un pò di tempo. Nessun medium ne è rimasto escluso. I fratelli Duffer li hanno dissezionati e remixati in Stranger things. Prima Ernest Cline con il suo libro e poi Steven Spielberg con il suo film hanno dato vita a quell’orgia citazionista di Ready player one. O basti pensare a tutte quelle plasticose scatolette miniaturizzate che rispondono al nome di retro game console e che spuntano come funghi dopo un acquazzone. Rimanendo in tema videoludico, anche High Score, la recente docuserie targata Netflix, non è altro che un grande tributo alla golden age del medium. Per tornare in terra italica e con un esempio più terra terra, a cadenza più o meno regolare saltano fuori imbolsiti Albano e Romina e la loro Felicità. Che a guardarli bene dopo quaranta anni si è trasformata in Paraculità. Ma vabbè questo è un altro discorso.

Il critico musicale Simon Reinolds, autore del saggio Retromania, in un’intervista per Repubblica prova a descrivere il perché dell’interesse quasi patologico verso il passato:
Ciò che mi intrigava nella parola retromania comunque era il fatto che ci fosse ‘mania’, una cosa che indica immediatamente allarme. Ti dice subito che in tutta questa passione per il passato probabilmente c’è qualcosa di assurdo, di sbagliato, che è andata fuori controllo, è diventata un po’ folle”. E continua: “[Dal 2008 al 2011, ndr] la musica era dominata dal rétro: il pop, il punk, l’underground, l’hip hop stavano tutti esplorando e prendendo spunto dal passato invece di immaginare il futuro, tanto che un altro titolo del libro avrebbe potuto essere ‘lost in archives’. Insomma, era deprimente. Sembrava che non potesse esserci più nulla di veramente nuovo.

Il pericolo a cui si va incontro trascinati da questa deriva nostalgica (e che a me sinceramente ha rotto i coglioni) è proprio di rimanere bloccati in un continuo loop citazionistico. Oltre a idealizzare un decennio che se da un lato ha visto la crescita vertiginosa dell’elettronica e dell’informatica, delle produzioni cinematografiche e televisive con i loro effetti speciali, dei videoclip di MTV, dall’altro ha incitato la società occidentale ad un consumo senza freni, spinto da Pil e occupazione sempre in crescita e dalle Borse galoppanti. Gli anni Ottanta sono anni leggeri, improntati al consumismo, all’esteriorità e allo svago. È il decennio dell’esagerazione, del narcisismo, dell’incoscienza, della scanzonatezza e dell’effimero.
Forse proprio per questo in tempi bui e difficili si guarda a quel periodo con nostalgia, fino a sfociare nella maniacalità. Si cerca di ricreare quelle emozioni, quei colori, quei modi di vivere che oggi ci appaiono ben lontani ma, per certi versi, ancora auspicabili. Soprattutto da chi quegli anni li ha attraversati da ragazzo e oggi si trova in quel punto della vita (dai quaranta ai cinquanta) in cui riemerge prepotente la nostalgia: perché l’età avanza, e con essa gli acciacchi, o perché magari del proprio quotidiano non si è del tutto appagati. E allora si volge lo sguardo all’indietro piuttosto che al futuro. La vita prosegue sull’onda delle conseguenze di quanto fatto; promesse e progettualità lasciano il posto a nostalgie e rimpianti, in una continua celebrazione del passato. Come tanti novelli Orfeo siamo disposti a scendere all’inferno (pagando però un biglietto di ingresso per affrontare il viaggio, che si tratti di film, videogiochi, libri, cofanetti musicali, vestiti) pur di riportare in vita la nostra Euridice. Ma sappiamo benissimo come finisce la storia del mito: Orfeo si volta e Euridice scompare per sempre.

I due sviluppatori inglesi Rex Crowle (illustrazioni) e Moo Yu (programmazione) nel loro Knight and Bikes uscito esattamente un anno fa e riproposto all’inizio di quest’anno su Nintendo Switch, pare che abbiano preso alla lettera la frase di Simon Reinolds quando dice “sembrava che non potesse esserci nulla di veramente nuovo”. Hanno attinto a piene mani dall’immaginario anni Ottanta e ne hanno fatto un videogioco che in sella ad una bicicletta mescola avventura punta e clicca, hack’n’slash e minigiochi in salsa fanciullesca. Pur se da un punto di vista narrativo ed artistico il gioco regge benissimo, a fare acqua sono proprio le meccaniche ludiche che non riescono a trovare il giusto mix di implementazione. Un vero peccato se si tiene conto che il gioco si rivolge sì principalmente ad un pubblico molto giovane e alle prime armi, ma che con degli accorgimenti in più poteva tranquillamente essere apprezzato anche una platea più matura. L’ideale sarebbe giocare Knight and Bikes tra genitori e figli o tra fratello/sorella maggiore e minore. Si perché il gioco dà il meglio di sé in modalità cooperativa locale. E’ pensato per quello, la storia si basa sull’amicizia di due ragazzine, alcuni enigmi sono risolvibili solo in coppia, ci si diverte a girovagare in bicicletta e ad esplorare l’isola di Penfurzy alla ricerca di un tesoro per salvare il padre di una delle due dalla bancarotta.
Se la trama ricorda un altro film Anni Ottanta, beh è così. I Goonies, film del 1985 scritto da Steven Spielberg, è la chiara e non troppo nascosta fonte di ispirazione. Fondamentalmente il gioco è un inno all’amicizia, al potere dell’immaginazione (i cosiddetti pretend games), alla forza che si consegue nell’affrontare i problemi in due invece che da soli. E’ anche un racconto di formazione, sull’inevitabilità del cambiamento e della crescita. Il tutto in sella alle immancabili biciclette BMX, forse la risposta più giusta che si può dare a Raf, assurte a icona degli anni Ottanta grazie a film come E.T., Rad, Quicksilver e ai Goonies appunto e tornate in auge con Stranger things. Peccato che nel 2020 i ragazzini preferiscano i monopattini elettrici, gli overboard e Fall Guys e che quelle scampagnate nei boschi, di notte da soli a bordo di biciclette personalizzate e agghindate di tutto punto e le partite a D&D siano rimaste solo un vago ricordo nostalgico nei film e nei videogiochi.
E ora per favore novelli Orfeo, cercate di guardare avanti, non entrate per niente nell’Ade, lasciatela riposare in pace Euridice.