Il mio 2020 in una serie TV, un film e ovviamente un videogioco

SOTY (ovvero serie dell’anno)

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Il 2020 sarà ricordato soprattutto per la pandemia. Io invece lo ricorderò come l’anno del cambiamento. Dopo ventisette anni di snervante lavoro d’ufficio e arrivato alla soglia dei cinquanta, ho preso varie decisioni importanti. Ho lasciato il lavoro per intraprendere un nuovo percorso che non c’entra niente con il precedente (aprirò un bar/vineria), ho iniziato a scrivere per i tipi di Outcast dando sfogo alla mia vecchia e mai sopita passione per i videogiochi (grazie per avermi accolto, vi voglio bene), mi sono messo a fare lavori manuali (gli anglofoni lo chiamano DIY) che non avrei mai pensato di saper fare. Afterlife stagione 2 (ma permettetemi di infilarci anche la stagione 1) di Ricky Gervais è un inno al cambiamento e per questo è la mia serie dell’anno. Ed è pure uscita il 24 aprile che è il mio compleanno!

FOTY (ovvero film dell’anno)

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Guardo ormai pochi film all’anno e non metto piede in una sala cinematografica da quando è nata la mia prima figlia, quindi sei anni fa! Ma per fortuna il 2020 e Netflix (si ancora lui) hanno portato direttamente nel mio salotto I’m thinking of ending things (ancora una volta, ma ormai è una costante per i film in cui Kaufman c’entra qualcosa, storpiato nella traduzione italiana in Sto pensando di finirla qui). Si, perché questo è un film sulle cose, sugli oggetti, sui dettagli, oltre che le cose in senso generico. C’è tutta la poetica di Kaufman concentrata in meno di due ore, le sue angosce per il tempo che passa, le sue elucubrazioni sulla memoria e su ciò che sarebbe potuto accadere. Continue citazioni (da D.F.Wallace a Guy Debord) rendono quest’opera complessa, ricca, da guardare più e più volte per cercare di capirne tutti i vari piani di lettura. Non un film facile, è angosciante fin quasi a sfociare nell’horror (memorabile la cena a casa dei genitori). Se Kaufman facesse un film all’anno, io sarei a posto.

GOTY (che ve lo dico a fare che significa?)

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Già lo avevo più o meno fatto intuire in un articolo precedente, nel quale stilavo la mia lista dei migliori titoli indie a forte propensione narrativa, ma ora lo ufficializzo. Il mio GOTY è Paradise Killer. Abbastanza weird da destabilizzare chiunque, abbastanza open world da soddisfare chi ha voglia di libertà, una valanga di testo scritto da Dio e una colonna sonora suonata da Dio, un’indagine e un parterre di personaggi che rimangono a lungo nella testa, il tutto condito da un’estetica waporwave che può piacere o no… ma questo gioco è una ventata di freschezza.

Outcast SOTY 2020

Questi tre miei interventi sono apparsi separatamente insieme a quelli degli altri collaboratori di Outcast.it. Se vi interessa conoscere il meglio del 2020 anche di altri videogiocatori bordeline coi baffi li potete trovare qui, qui e qui.

EL CAMINO

UNA LETTERA APERTA

Non è il mio genere, ma come si intitolava quella canzone dei Radiohead che ho sentito di sfuggita una volta alla radio? Dai sforzati Jesse! Ah si, ecco, How to disappear completely. Si, solo questo mi resta da fare, sparire completamente e dimenticare. Non ho più motivo di restare ad Albuquerque, questa città mi ha consumato, tradito, fatto soffrire in ogni modo possibile. Ma mi ha anche fatto vivere e fare qualcosa di speciale, quello che molte persone non riescono a fare in una vita intera. Addio Skinny Pete e Badger, siete stati i miei migliori amici e non mi avete mai abbandonato. Addio Mike, mio mentore. Proverò a mettere le cose a posto come solo tu sapevi fare, anche se il passato non si cancella. Addio Jane, mio grande amore. Ho seguito l’universo come hai fatto tu, credendo che fosse una buona filosofia di vita, ma solo ora ho capito che è meglio decidere da sé. Addio signor White. Mi mancherà la nostra Crystal ship dove abbiamo cucinato tutta quella metanfetamina blu diventata famosa in quasi tutta l’America e il Messico. Eravamo i più bravi e lo sapevamo entrambi; abbiamo raggiunto la perfezione, la purezza: 99,1%. Mi hai insegnato che l’impegno, la costanza, la dedizione e la passione sono i requisiti necessari per ottenere risultati oltre la mediocrità. Così come quando sono riuscito a fare quella scatoletta di legno con coperchio per un corso di ebanisteria al liceo. Prima ne avevo realizzata una in modo sbrigativo, solo per consegnare il lavoro e prendere un voto qualsiasi. Il professor Pike non mi aveva detto che faceva schifo, ma mi ha incoraggiato a fare di meglio. E così mi sono detto “Cazzo, certo che so fare di meglio”.  Allora ho cominciato a farne un’altra e un’altra ancora. Al quinto cofanetto ne ho fatto uno davvero bello. Senza chiodi, solo incastri, lucido e profumato. Ero bravo in qualcosa e qualcuno se ne era reso conto. Anche tu signor White lo hai capito che almeno una cosa la sapevo fare. I miei genitori invece hanno sempre pensato che non fossi capace di combinare niente. Sei stato quasi un padre per me, non come quello stronzo che mi ha abbandonato perché mi facevo e che non ha capito che quello era il mio modo di gridargli tutta la disperazione e la mancanza di amore e di stima nei miei confronti. Mi ha tolto pure la casa quel fottuto senza palle. Hai cercato di salvarmi e lo hai fatto. Me lo avevi detto tanto tempo fa di prendere il largo, lasciare la città senza guardarmi alle spalle. Organizzarmi una nuova vita e ripartire da zero. Un lavoro legale, una ragazza, mettere su famiglia. D’altronde sono ancora giovane e in pochi anni tutto questo diventerà solo un brutto ricordo. Mi mancherai. Certo ho commesso molti errori e ho perso spesso la strada. Ho pagato tutto e le cicatrici sul mio volto ne sono la prova. D’altronde chi è che nella vita rimane uguale a se stesso? Sono cambiato ma ora devo scomparire. Questo è il prezzo da pagare per tutti gli errori fatti. Infine addio Brock, scusa per tutto quello che ti ho fatto,  anche se indirettamente. Un giorno forse torneremo a sorridere e a giocare ai videogiochi.

UNDONE

SOLVE THE MAZE

Gli sciamani sono stati definiti i “guaritori feriti” e, come gli scrittori, sono persone speciali che si distinguono dalle altre per i loro sogni, le loro visioni e le loro esperienze uniche. Proprio come molti scrittori, si sono preparati per il loro mestiere sopportando prove terribili. Possono essere gravemente malati, cadere da una scogliera e ritrovarsi con tutte le ossa rotte, essere morsi da un leone o da un orso, fatti a pezzi e rimessi a posto come nuovi. In un certo senso muoiono e rinascono e tali esperienze danno loro poteri speciali. Tanti scrittori approdano alla scrittura solo dopo essere stati in qualche modo fatti in frantumi dalla vita. Spesso, coloro che vengono scelti per essere sciamani sono identificati da sogni o visioni particolari, durante i quali gli dei o gli spiriti li conducono in altri mondi, dove affrontano prove terribili. Vengono distesi su una tavola e tutte le loro ossa sono asportate e rotte […] Vengono sintonizzati su una nuova frequenza come fossero delle radio, perciò come sciamani sono in grado di ricevere messaggi da altri mondi. Fanno ritorno nella propria tribù con poteri nuovi. Sono capaci di viaggiare in altri mondi e riportare storie, metafore o miti che guidano, guariscono e danno significato all’esistenza”.

Questo brano è tratto dal capitolo conclusivo de Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler e gli autori che hanno scritto Undone (quelli di BoJack Horseman) lo hanno tenuto ben presente in questo ultimo loro lavoro, anzi la trama della serie Amazon Prime composta da 8 episodi sembra riassumersi proprio in queste righe.

“Sono stanca di vivere”. Esordisce così Alma (Rosa Salazar), 28 anni, un lavoro come assistente presso un asilo e un fidanzato dalle origini indiane di nome Sam. Non ha voglia di sistemarsi Alma, vuole vivere liberamente come gli uccelli. Non vuole limitarsi a vivere una vita fatta di routine il cui dilemma più grande è scegliere al supermercato quale sia la marca migliore di fagioli. Sua sorella minore Becca (Angelique Cabral) invece sta per sposarsi con un normalissimo e noiosissimo ragazzo e Alma non riesce a trovare le motivazioni per cui esserne felice. Anche il rapporto con sua mamma Camila (Costance Marie) non è dei migliori. Alma infatti non è una ragazza come le altre, ha subito molti traumi che ancora non ha risolto e cercherà di venirne a capo in questo viaggio dentro di sé, fin nel profondo delle sue radici. Il trauma più grande è la mancanza del padre Jacob (Bob Odenkirk, si proprio lui, l’avvocato Saul Goodman di Breaking Bad), un professore di fisica morto in uno strano incidente stradale quando lei era piccola. Non che prima della sua dipartita fosse stato molto presente, assorbito e dedito totalmente al lavoro di ricerca. Ha infatti trovato il modo di riscrivere i fondamenti del tempo e riuscire a vivere senza una linea temporale unica. Sostiene che il tempo così com’è è una forma limitata di esperienza. In seguito ad un incidente stradale Alma (che non a caso in spagnolo significa anima) si ritroverà in un limbo tra la vita e la morte, innesti di realtà e sogno si confonderanno, i déjà vu diverranno all’ordine del giorno e i loop temporali una costante. Scoprirà di avere questo straordinario potere sciamanico, insieme ai sintomi della schizofrenia. Gli stessi che aveva la mamma di suo padre. Alma è una mestiza, le sue radici sono legate alle antiche tribù messicane. Alma è anche sorda.

Undone è una serie preziosa, con una scrittura profonda e una caratterizzazione dei personaggi di prim’ordine. Non sarà difficile entrare in profondità nell’animo delicato e scombussolato di Alma, empatizzare con lei. Vengono toccati moltissimi temi: la diversità e la disabilità, il bullismo, i traumi infantili non risolti, l’integrazione razziale, l’abbandono e la solitudine, la depressione e l’elaborazione del lutto. Ci si interroga se è sano abitare dentro scatole di cemento, tubi e fili. Sulla mercificazione di ogni aspetto della nostra vita, che sia cibo, acqua, terra, e persino divertimento. Sull’aderire a canoni di bellezza opprimenti e perversi. Non si riesce ad inserire Undone in un genere specifico. È drammatico ma anche commedia, è un giallo, una storia d’amore, una spy story il tutto condito da una buona dose di paranormale. In una scena dove Alma distribuisce cereali ai bambini dell’asilo, sul retro della scatola c’è stampato un labirinto e la scritta SOLVE THE MAZE. Metaforicamente è come se fosse intrappolata in questo labirinto spazio-temporale e spetta solo a lei trovare la via d’uscita, seppure con l’aiuto dello spirito del padre.

Sul piano artistico Undone è una gioia per gli occhi. È stata usata la tecnica del rotoscope che impiega scene filmate con attori reali successivamente ritoccati al computer. I fondali sono un mix di pittura ad olio, scenari 3D e 2D. Il risultato finale è stupefacente. Questo mescolanza tra reale e astratto è il modo migliore per rappresentare i multiversi di Alma. Si può passare con facilità da dettagli iperrealistici a fantasie astratte e interscambiare le cose al volo. Sembra di guardare un film, ma anche contemporaneamente leggere un fumetto e giocare ad un videogame. Attraverso il rotoscope il visionario regista Hisko Hulsing riesce perfettamente a catapultarci nella testa di Alma e farci vivere insieme a lei le sue continue peregrinazioni temporali. Un esempio cinematografico piuttosto recente di questa tecnica è A scanner darkly di Richard Linklater con Keanu Reeves (2006). Infatti parte del team che ha lavorato in Undone è lo stesso. Tornando un pò indietro nel tempo gli A-HA con il loro famoso video di Take on me negli anni Ottanta utilizzarono un tecnica molto simile. Ma l’invenzione del rotoscope si fa risalire agli anni Trenta. Max Fleischer, considerato uno dei più grandi animatori della storia, famoso per Betty Boop, Popeye e Koko il clown è stato il primo ad utilizzare questa tecnica.

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Per i temi affrontati, la brillante scrittura e profondità psicologica dei personaggi, la qualità artistica dell’opera, l’ottima recitazione, Undone è una serie che merita assolutamente la visione. Le persone speciali si distinguono dalle altre per i loro sogni e le loro visioni. Selma è speciale. Undone è speciale.

CHERNOBYL

LA VERITÀ È SEMPRE LÌ

Guardare le cinque puntate di Chernobyl è stato come fare un tuffo in un passato piuttosto recente. Due giorni prima del 26 aprile 1986 avevo appena compiuto tredici anni e l’ingenuità pre adolescenziale vissuta in provincia non mi ha certo aiutato a capire a pieno la portata di un disastro del genere. La mini serie creata e scritta da Craig Mazin e diretta da Johan Renck mi ha aperto gli occhi, allora intenti prettamente al videoludere.

Ha evidenziato e messo a nudo le pecche di un mondo, quello sovietico, tanto utopico quanto fallimentare che di lì a poco si sbriciolerà come il nocciolo del reattore numero quattro della centrale nucleare. Chernobyl è innanzitutto una storia sulle persone. Al di là dei fatti puramente tecnici e sul perché il disastro sia avvenuto, il lavoro dello sceneggiatore si è soffermato sulle persone che sono state importanti in quei terribili momenti.

Valery Legasov lo scienziato e Boris Shcherbina il burocrate

Il protagonista assoluto è Valery Legasov interpretato da un notevole Jared Harris (già re Giorgio VI in The Crown). Valery è un professore dell’Istituto Kurchatov di Mosca, la principale istituzione nel campo dell’energia nucleare. Sarà lui insieme a Boris Shcherbina, vice segretario del consiglio dei ministri, ad occuparsi di cercare di risolvere il disastro. Alla domanda di Boris: -“Come lo spegniamo?” Valery risponde: -“Siamo di fronte a qualcosa che non è mai accaduto su questo pianeta”. In questo scambio di battute è riassunta tutta la drammaticità e il senso di impotenza che i due uomini hanno provato di fronte al disastro nucleare. Ad affiancare i due nel tentativo di arginare il problema prima e la ricerca della verità poi, arriva Ulana Khomyuk interpretata da Emily Watson. Ulana è un fisico nucleare di Minsk, una delle poche donne a capo di un istituto nella Russia di quegli anni. A dispetto di Boris e Valery, Ulana è un personaggio inventato da Mazin che ha affermato di averlo creato per rappresentare tutti quegli scienziati che hanno rischiato lottando contro il sistema, non solo governativo, ma anche scientifico interessato a proteggere se stesso dai propri sbagli. Ha scelto volutamente una donna perché, come spiega in un’intervista, la Russia era più progressista rispetto agli Stati Uniti, dove le percentuali di donne laureate in medicina e scienze erano nettamente inferiori. Oltre all’aspetto progressista, c’era una reale necessità: la Russia aveva perso milioni di uomini durante la seconda guerra mondiale e le donne hanno cominciato a ricoprire ruoli a loro prima negati.

Ulana Khomyuk

Il legame che si crea tra Valery, Boris e Ulana è fondamentale per lo svolgersi della storia. Tutti sono spinti da un solo ed unico fine: la verità. L’URSS è un paese dove tutto viene messo a tacere per non screditare la sua potenza mondiale; il KGB insabbia, spia, ascolta tutto e tutti; la guerra fredda aleggia ancora (seppur per poco) sul mondo; la corruzione e la scalata sociale sono metodi comuni mentre la meritocrazia è una parola inesistente. I tre “eroi” sembrano essere le uniche personalità immuni a tutto ciò, circondati invece da questo sistema che cercheranno di combattere fino alla fine. Il cemento che cola sulle bare dei primi pompieri arrivati sul posto la notte del disastro o sui cadaveri degli animali contaminati abbattuti da unità speciali create ad hoc, è metafora del tipico comportamento russo di nascondere e sotterrare i problemi. Ma come Valery registrerà su un’audiocassetta: “La verità è sempre lì. Lei rimarrà in attesa tutto il tempo”.

I tre non sono però gli unici eroi. I vigili del fuoco e i piloti degli elicotteri che hanno spento l’incendio, le centinaia di minatori che scavarono sotto il nocciolo per evitare la contaminazione delle falde acquifere, i tre volontari che scesero nelle piscine per aprire manualmente le valvole. Tutti lo fecero per umanità e senso del dovere, certamente non per denaro o fama. 

Gli animali, vittime dimenticate

Non possono passare inosservati i tanti animali che hanno attraversato le cinque puntate e che ricoprono un ruolo comprimario all’interno della narrazione. Vittime indifese tanto quanto gli abitanti di Pripyat. Il primo a cadere è un uccello, mentre i bambini ignari del disastro vanno a scuola. In questa immagine si esplicita la volontà della politica di sacrificare un’intera generazione pur di non diffondere la verità. Poi un cervo in un bosco. E le migliaia di cani, gatti, mucche abbattuti. Un bruco verde che striscia sui pantaloni di Boris verso la fine della serie è l’unico segno di una possibile rinascita e simbolo di speranza.

Oltre agli animali un’altra costante presente in quasi tutte le scene sono le sigarette e la vodka. Stereotipi tanto veri quanto popolari. Il tabacco ha una lunga storia in Russia, e non fa distinzioni sociali: amato sia dagli Zar che dagli scrittori come Dostoevskij o da minatori e operai. La vodka, a differenza di altri alcolici che vanno degustati, va trangugiata tutta in un sorso e può essere usata sia per festeggiare che per aiutare ad attraversare le sofferenze dell’esistenza (nel corso della narrazione di Chernobyl il più delle volte viene usata nel secondo frangente).

C’è una scena che più di tutte mi ha colpito per la forte componente poetica e il risvolto metaforico. Un’anziana signora è costretta da un giovane militare ad abbandonare la sua rurale e malridotta casa di campagna. Mentre sta mungendo una mucca (il cui latte è sicuramente contaminato) la babushka sintetizza in poche battute tutta la storia della Russia, una storia fatta di guerre, rivoluzioni, carestie e morti. Lo scontro generazionale non è altro che la metafora del passaggio dalla vecchia e testarda Russia al giovane e inesperto postcomunismo che avverrà di lì a pochi anni.

La ricostruzione delle ambientazioni è talmente verosimile che sembra di vivere realmente nella Russia del 1986. L’opulenza del Cremlino contrapposta allo squallore degli appartamenti degli abitanti ci fa capire la distanza abissale tra il potere politico e il popolo. L’uso dei colori virati al verde rende l’atmosfera cupa e avvelenata. Dal punto di vista puramente estetico, ma anche storico, mi ha fatto venire in mente lo splendido film Le vite degli altri (2006) di Florian Henckel von Donnersmarck ambientato nel 1984 nella Berlino dell’Est e che può servire a comprendere meglio il clima politico di quegli anni.

Le vite degli altri

Spero vivamente che la visione di Chernobyl non incentivi ulteriormente quel fenomeno malato che risponde al nome di “turismo dell’orrore”. Per quei mentecatti che volutamente e coscientemente si recano nei luoghi dei disastri, fregandosene del dolore di migliaia di persone solo per scattarsi selfie da pubblicare sui social, spero che la legge del contrappasso faccia il suo dovere.

Ho un ricordo personale che mi lega a Chernobyl e che oggi assume un significato più profondo. Negli anni successivi al disastro la mia famiglia, come molte altre, decise di ospitare per diverse estati un bambino proveniente dalla Bielorussia per aiutarlo a superare lo shock e respirare un’aria più salubre. A noi toccò una piccola e gracile creatura dal nome Nadja. Non sapeva una parola di italiano (e noi di russo) ma comunque riuscivamo a comunicare con i gesti e gli sguardi. Ancora oggi abbiamo degli sporadici contatti e l’ultima sua foto che ci ha inviato è questa. удачи надя.