The Case of the Golden Idol giocato a mezzanotte, su un Frecciarossa Milano-Ancona in ritardo di oltre due ore

Scrivere racconti è più difficile che scrivere romanzi. Scrivere racconti non lineari che si svolgono nell’arco temporale di quarant’anni nel diciottesimo secolo lo è ancora di più. Complichiamoci la vita e farciamo i racconti con intrighi, omicidi, sette segrete, lotte di classe, esoterismo. Bene ora che le cose sono belle mescolate e ingarbugliate, togliamo di mezzo i nomi dei protagonisti, le motivazioni che hanno spinto Tizio ad uccidere Caio, l’arma del delitto e diamo in mano al giocatore la facoltà di mettere i tasselli giusti al posto giusto. E solo alla fine rendersi conto che i racconti sono tutti legati da un filo conduttore. Questo è The Case of the Golden Idol.

Un cavallo che corre leggiadro lungo le sponde di un lago, una libreria, uno scrittoio e… un morto!

Nel mondo dei videogiochi raccontare una storia corale attraverso singoli episodi apparentemente slegati tra di loro non è sicuramente una novità. Prima di iniziare The Case of the Golden Idol avevo guarda caso appena finito di giocare Live a Live uscito nel 1994 ma recentemente riportato su Switch. Qui le storie sono otto e lontanissime almeno temporalmente tra di loro. Si va infatti dalla preistoria fino al lontano futuro passando per il Giappone del periodo Edo e il Far West, ma tutte sono accomunate da qualcosa che si scoprirà nel finale. Oppure, mi viene in mente il bellissimo e calviniano If on a winter’s night, four travelers o ancora il poetico The Lion’s Song. Quello che però differenzia fondamentalmente i titoli sopra da The case of the Golden Idol è che nei primi tutto è già stato scritto, e per sbloccarlo basta fare dei combattimenti a turni o risolvere dei piccoli enigmi mentre nell’ultimo, pur essendo consapevoli dell’inganno, abbiamo la fortissima impressione che siamo noi a ricomporre e quindi scrivere la storia, ci sentiamo parte integrante del processo creativo.

Ecco cosa intendo quando siamo noi a scrivere la storia.

Nel Settembre 2021 mi è arrivata una mail da una agenzia PR che aveva visitato il mio blog Vitagiocata (!) per chiedermi se volevo provare in anteprima la demo di The case of the Golden Idol, dato che avevo scritto un articolo in cui tessevo le lodi di The return of the Obra Dinn. Ho risposto gentilmente che purtroppo non avevo molto tempo, e che non ero sicuro di riuscire a provare il gioco. Mi mandarono comunque la demo. Non ci misi mano subito e quando lo feci, fu in maniera un po’ svogliata. Pur riconoscendo il buon lavoro svolto sia a livello investigativo che grafico, non era riuscito ad entrare pienamente nelle mie corde. Solo ora che è uscito su Switch – completo anche del primo DLC che va ad ampliare l’arco narrativo – ho capito il perché: non avevo il quadro d’insieme.

La difficoltà per uno scrittore di racconti è quella di creare un legame col lettore nel giro di pochissime righe. Il tempo a disposizione è poco, non si possono approfondire i personaggi e gli scenari, e il finale spesso rimane aperto; si tratta, se vogliamo paragonarlo ad un altro mezzo espressivo, di una fotografia, un’istantanea che cattura solo un preciso momento. The case of the Golden Idol si muove per istantanee e ne scatta undici più un epilogo (a cui si vanno ad aggiungerne tre del DLC The Spider of Lanka). Avendo giocato solo le prime due nella demo non ero riuscito a collegare il fatto che, nonostante siano dodici racconti, questi vanno a formare un romanzo. I singoli fotogrammi una volta ricomposti, assimilati e collegati si trasformano in un film. Un gran bel film. Solo che lo sceneggiatore, scrittore o investigatore che dir si voglia è il giocatore stesso, e questo compito è tutt’altro che facile.

Qui non muore nessuno, anzi ci si diverte. Aspetta, però, chissà cosa c’è al piano di sopra?

I due fratelli lituani Andrejs e Ernests Klavins dietro a Golden Idol non hanno mai nascosto che la loro maggiore fonte di ispirazione fosse stato The return of the Obra Dinn, tanto che lo stesso Lucas Pope in un tweet ha detto “se avete amato Obra Dinn sono sicuro che vi piacerà anche Golden Idol”. Ma mentre Obra Dinn seguiva le vicissitudini dello sfortunato equipaggio sempre nello stesso luogo (la nave mercantile da cui il nome) e più o meno nello stesso tempo, in Golden Idol si sono allargati sia gli orizzonti temporali che spaziali. Se all’inizio tutto questo crea confusione, alla fine, mettendo insieme tutti i pezzi, si dipana davanti ai nostri occhi una storia ben orchestrata, regalando grandi soddisfazioni.

Signora, più che dormire mi sa che ha trovato il sonno eterno.

Il gioco si divide in due fasi ben distinte. Una di esplorazione in cui come in un classico punta e clicca bisogna cercare indizi, persone, armi, e quant’altro. E un’altra deduttiva in cui attraverso il ragionamento bisogna riempire le caselle vuote con nomi, oggetti, moventi e quant’altro. Al giocatore viene lasciata la massima libertà sul modus operandi: si può muovere tra le due fasi in tempo reale, quindi potrebbe in teoria raccogliere la parola e subito sistemarla in una casella. Oppure prima raccogliere tutte le parole (che sono comunque evidenziate da un numero in basso a destra) e solo dopo cominciare la fase deduttiva. Già al termine del primo capitolo, che serve ad introdurre le meccaniche del gioco, le cose si complicano notevolmente. Ci sono moltissimi distrattori, le identità si fanno confuse (maledette maschere!), i luoghi diventano sempre più grandi, i colpi di scena e gli intrighi sempre più machiavellici.

Però, che soddisfazione quando dopo ore di ragionamenti, tutto va al proprio posto. Ma se c’è una cosa per cui ricorderò nel tempo The case of the Golden Idol è il senso di coralità che si respira nel racconto. Tutto ha un significato, a posteriori. I personaggi riappaiono a distanza di vari episodi, impariamo a conoscerli, a conoscere le loro famiglie e più in generale la società in cui si muovono. E quello che ne viene fuori, pur facendo largo uso di elementi fantastici, è una società razzista, colonialista, cinica, approfittatrice, sfruttatrice dove l’aristocrazia e la politica sono completamente slegate dalla vita reale (non è poi cambiato molto, suvvia!). Solo guardando l’immagine da lontano si può avere una visione completa. Ecco perché la demo non mi aveva entusiasmato. Ecco perché scrivere racconti è molto più difficile che scrivere romanzi.

Altrimenti il titolo non avrebbe avuto un senso.

E, comunque, un ringraziamento sentito a Trenitalia, che mi ha “permesso” di finire il gioco e scrivere questo pezzo.

Questo articolo è apparso su Outcast.it

Lascia un commento